Gabriele D´Annunzio: I Poeti
Gabriele D’Annunzio
(1863-1938)
I Poeti
Il sogno d’un passato lontano, d’una ignota
stirpe, d’una remota
favola nei Poeti luce. Ai Poeti oscuro
è il sogno del futuro.
Qual contro l’aure avverse una chioma divina,
una fiamma divina,
tal ne la vita splende
l’Anima, si distende,
in dietro effusa pende.
Ospiti fummo (O tu che m’ami: ti sovviene?
Era ne le tue vene
il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria.
Nativa è la memoria
in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri
come tangibili astri,
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.
In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi?
Quale fu ne l’ora mortale il nostro dio?
Da quale portentosa ferita
esalammo la vita?
Forse dopo una strage di eroi?
Sotto il profondo ciel d’un letto profondo?
Le nostre spoglie fiera custodì la Chimera
ne la purpurea sera.
E al risveglio improvviso dal sonno secolare
noi vedemmo raggiare
un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti;
udimmo tutti i pianti
umani, tutti i pianti umani che la Terra
nel suo cerchio rinserra.
Udimmo tutti i vani gemiti e gli urli insani
e le bestemmie immani.
Udimmo taciturni la querela confusa.
Ma ne l’anima chiusa
l’antichissimo sogno, che fluttuava ancòra,
ebbe una nuova aurora.
E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando
quella morte, cantando
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.
Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro
è il sogno del futuro.
Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo,
o Fato, rivivremo?
Quando i Poeti al mondo canteranno su corde
d’oro l’inno concorde:
O voi che il sangue opprime, Uomini, su le cime
splende l’Alba sublime!
Il sogno d’un passato lontano, d’una ignota
stirpe, d’una remota
favola nei Poeti luce.
Ai Poeti oscuro è il sogno del futuro.
Qual contro l’aure avverse una chioma divina,
una fiamma divina, tal ne la vita splende
l’Anima, si distende, in dietro effusa pende.
Ospiti fummo (O tu che m’ami: ti sovviene?
Era ne le tue vene
il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria.
Nativa è la memoria
in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri
come tangibili astri,
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.
In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi? Quale
fu ne l’ora mortale
il nostro dio? Da quale portentosa ferita
esalammo la vita?
Forse dopo una strage di eroi? Sotto il profondo
ciel d’un letto profondo?
Le nostre spoglie fiera
custodì la Chimera
ne la purpurea sera.
E al risveglio improvviso dal sonno secolare
noi vedemmo raggiare
un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti;
udimmo tutti i pianti
umani, tutti i pianti umani che la Terra
nel suo cerchio rinserra.
Udimmo tutti i vani
gemiti e gli urli insani
e le bestemmie immani.
Udimmo taciturni la querela confusa.
Ma ne l’anima chiusa
l’antichissimo sogno, che fluttuava ancòra,
ebbe una nuova aurora.
E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando
quella morte, cantando
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.
Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro
è il sogno del futuro.
Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo,
o Fato, rivivremo?
Quando i Poeti al mondo canteranno su corde
d’oro l’inno concorde:
O voi che il sangue opprime,
Uomini, su le cime splende l’Alba sublime!
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